IL CODEX
Il
Codex Purpureus Rossanensis è uno dei più antichi evangeliari esistenti al Mondo, reso oltremodo prezioso ed unico grazie alle sue bellissime miniature, capolavoro dell’arte bizantina. Esso presenta i resti di un indipendente ciclo di miniature relative alla vita di Cristo, il più antico rimasto in un manoscritto greco.
È uno dei capolavori della letteratura evangelica. È costituito da 188 fogli (376 pagine) di pergamena, contenenti l’intero Vangelo di Matteo e quasi tutto quello di Marco, mutilo quest’ultimo dei vv. 14-20 conclusivi dell’ultimo capitolo.
La struttura complessiva del manoscritto testimonia come in origine si trattasse di un esemplare, in uno o due volumi, dei quattro Vangeli, preceduti dall’indice dei capitoli. Con buona approssimazione si può dire che la parte conservata rappresenta circa la metà dell’intera opera. Il formato attuale del manoscritto misura mm. 307x260.
I fogli sono di pergamena accuratamente lavorata, tinta di colore purpureo, con discromie che, talvolta, si possono ritenere originarie ma, in più casi, dovute a fattori diversi, soprattutto l’umidità.
Il Codex Purpureus Rossanensis nella lista internazionale dei manoscritti rari ecclesiastici porta il suffisso alfabetico Σ e il numero 042. Il “CodexPurpureusRossanensis Σ” è anche conosciuto come il Rossanensis. Deve, invece, il nome "Purpureus" al fatto che le sue pagine sono di color porpora.
La scrittura in cui è vergato il testo dei Vangeli è la maiuscola biblica: si tratta di forme grafiche che si caratterizzano a partire dal tardo II secolo d.C., definendosi in norme precise già nel III e resistendo nelle pratiche librarie fino al IX secolo, sia pure con differenziazioni interne, geografiche e cronologiche.
Le miniature conservate nel codice di Rossano sono quattordici. Di esse, dodici raffigurano eventi della vita di Cristo (La Resurrezione di Lazzaro, L’ingresso di Gesù a Gerusalemme, Il colloquio con i sacerdoti e la cacciata dei mercanti dal tempio, La parabola delle dieci vergini, L’ultima cena e la lavanda dei piedi, La comunione degli apostoli, Cristo nel Getsemani, La guarigione del cieco nato, La parabola del buon samaritano, Il processo di Cristo davanti a Pilato, La scelta tra Gesù e Barabba), una fa da titolo alle tavole dei canoni andate perdute, e l’ultima è un ritratto di Marco, che occupa l’intera pagina. Tutte le miniature vennero dipinte su di una pergamena meno sottile di quella usata per il testo dei Vangeli; a essa fu applicata una tinta purpurea diversa da quella adoperata per le pagine destinate al testo. La pergamena più spessa forniva una base più solida ai colori, mentre la tinta più opaca impediva alla miniatura dipinta sulla facciata di un foglio di essere vista rovesciata sull’altra facciata. Esso è strutturato in modo che miniature e testo risultino raggruppati in fogli distinti.
Il Codex Purpureus Rossanensis riveste uno straordinario interesse dal punto di vista sia biblico e religioso, sia artistico, paleografico e storico, sia documentario. Un documento simbolo di una regione, la Calabria, che ha mediato e tradotto in sintesi la civiltà greco-orientale e quella latino-occidentale.
Il Codice è stato realizzato in uno dei centri di attività scrittoria di matrice bizantina, riconosciuto dalla maggior parte degli studiosi in Antiochia di Siria. Ipotesi di realizzazione presso altri centri sono tutt’oggi da prendere in considerazione, ad ogni modo l’ambiente di realizzazione è quello facente parte dell’Impero Romano d’Oriente; lo testimonia il suo colore porpora caratteristico dell’ambiente della famiglia imperiale bizantina.
La datazione del Codice è circoscritta tra il V e il VI secolo dai maggiori storici dell’arte bizantini e dai paleografi.Non si conosce con precisione il motivo del suo arrivo a Rossano, probabilmente durante la diffusione del bizantinismo in Calabria e nel Mezzogiorno, legata alla espansione del monachesimo. Esso sarebbe giunto nella città nell’VIII secolo sull’onda delle trasmigrazioni dei monaci iconoduli, da Costantinopoli o dall’Egitto e dal Nord Africa islamizzato. Tesi più recenti, invece, suppongono verosimile l’arrivo a Rossano coincidente con la sua elevazione a diocesi, dunque nel X secolo, che, tra l’altro, coincide con il periodo di maggior splendore della città. Interessante l’ipotesi che suggerisce come Il Codex potrebbe essere stato portato a Rossano dalla principessa bizantina Teofano, sposa di Ottone II e imperatrice del Sacro Romano Impero, in occasione del suo soggiorno nella città nell’estate del 982 (Mercogliano, 2016).
Il Codice è documentato con sicurezza a Rossano solo a partire dal 1831, precisamente dall’anno segnato sulle annotazioni a penna di Scipione Camporota degli indici cartacei a esso acclusi, quindi poco tempo avanti la sua prima citazione da parte di Cesare Malpica (1845) e della presentazione alla comunità scientifica a opera degli studiosi tedeschi Adolf von Harnack e Oscar von Gebhardt (1883). È possibile, però, che una traccia della sua antica presenza nella città possa giungere dalla denuncia anonima subita dall’arcivescovo Andrea Adeodati (1697 - 1713) accusato di aver dato alle fiamme antichi testi greci con figure, appartenenti alla Cattedrale. L’arcivescovo, in realtà, operava secondo le consuetudini della Chiesa controriformata miranti al rinnovamento della liturgia, ma le tracce di bruciatura delle ultime pagine del Codice spingono realmente a credere che il prezioso manoscritto sia stato sottratto proprio a tali incendi.
Oggi il Codex è stato riconosciuto quale Patrimonio dell’Umanità e inserito nelle liste Unesco, nella Categoria “Memory of the Word”, il 9 Ottobre 2015.
Il Codex Rossanensis restaurato e restituito al pubblico